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Conto corrente pignorato cosa fare

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Quando si parla dei risparmi dell’italiano medio, tranne qualche eccezione in cui il saldo risulta sintomatico di una situazione finanziaria particolarmente florida, solitamente accompagnata anche da altre forme di investimento e/o risparmio, in linea di massima pensiamo, invece, al tradizionale conto corrente su cui viene accreditato stipendio o pensione, e che rappresenta lo strumento fondamentale per gestire il denaro del titolare del contratto.

Il conto corrente, infatti, semplifica il governo dei propri risparmi, custoditi dalla banca prescelta, la quale offre una serie di servizi, oltre all’accredito del compenso lavorativo, come pagamenti, bonifici, domiciliazione delle utenze, carta di debito e di credito, ed altro ancora, ed è quindi normale che ogni correntista lo consideri un po’ il suo salvagente dai rischi del futuro, e un ottimo mezzo per ottimizzare la propria vita dal punto di vista economico.

Naturalmente, in tutto questo, il correntista deve prestare attenzione ai movimenti del suo conto corrente, procedendo ad operazioni finanziarie oculate, con copertura del denaro garantita, prevedendo, per esempio, emissione di assegni bancari sempre totalmente coperti, rispettando le scadenze delle domiciliazioni, o limitando le spese con carta di credito nei limiti delle proprie possibilità. Infatti, in caso di inadempienze nei pagamenti, o per un errato utilizzo di assegni o altri titoli, il titolare si potrebbe ritrovare con il conto corrente pignorato. Tale atto parte con la notifica di un atto giudiziario, ed è importante sapere che, in realtà, non viene bloccata la totalità del conto stesso, ma soltanto le somme per le quali quel determinato creditore agisce con il pignoramento. Ma andiamo con ordine

Cos’è il titolo esecutivo e che ruolo svolge nel pignoramento.

Diciamo subito che non esiste un limite minimo di importo per procedere al pignoramento del conto, in quanto la legge consente l’avvio della procedura anche per cifre irrisorie, a discrezione del creditore.

Per poter eseguire un’esecuzione forzata, come possiamo appunto definire un pignoramento, non è sufficiente non rispettare, dal punto di vista economico, un contratto, una fattura, una bolletta: la situazione, per il creditore, risulta un po’ più complicata in quanto, a seguito di una mancanza finanziaria, per agire nei confronti del titolare del conto inadempiente, deve essere necessariamente munito di un titolo esecutivo, senza il quale ogni esecuzione forzata risulta illegittima.

Pertanto, l’ufficiale giudiziario, che è la figura fisica che comunica il pignoramento alla persona, potrà intervenire solo dopo che il creditore avrà intrapreso un giudizio, un causa, un ricorso in tribunale (provvedimento giudiziale). Potrebbe però anche essere in possesso di documenti a cui la legge attribuisce il valore di titoli esecutivi, vale a dire una cambiale, un assegno (come dicevamo), la cartella a esattoriale dell’Agenzia delle Entrate Riscossione, il nuovo esattore tributi che dal 1° luglio 2017 ha sostituito Equitalia, o anche il contratto di mutuo e tutti gli altri atti pubblici stipulati davanti a un notaio, per il pagamento di denaro, così come le conciliazioni sottoscritte all’Ispettorato del Lavoro. In tutti questi casi parleremmo di un titolo esecutivo stragiudiziale, vale a dire fuori dal giudizio.

In sostanza, quindi, il titolo esecutivo è l’atto ufficiale, con valore legale, che certifica ed accerta il diritto di un determinato creditore, attribuendogli il potere di agire pignorando, in via esclusiva e per quanto di sua spettanza, una parte del patrimonio del titolare del conto corrente del debitore a cui, automaticamente, spetta l’obbligo giuridico dl pagamento. La procedura di pignoramento varia in base al profilo del creditore che, se soggetto privato (un fornitore piuttosto che una banca o, anche, la controparte di un contenzioso, per esempio), dovrà intraprendere necessariamente una causa in tribunale, mentre nel caso dell’Agenzia delle Entrate il pignoramento si consuma attraverso una comunicazione inviata alla banca, che contiene l’obbligo di assolvere al proprio debito entro 60 giorni dal ricevimento.

Esistono conti correnti non pignorabili?

Diciamo subito che, in teoria, tutti i conti correnti, se i titolari agiscono con azioni da “cattivo pagatore” come abbiamo illustrato in precedenza, possono essere pignorabili, pur se esistono comunque, se non proprio delle eccezioni, delle limitazioni.

In primo luogo, in caso di un conto corrente cointestato, bisogna chiarire che, pur non essendo esente da questo titolo esecutivo, il pignoramento può essere eseguito solo nei limiti della metà. Il creditore, pertanto, può prelevare solo il 50% della somma depositata, anche se potrebbe non soddisfare totalmente la sua pretesa, e si vedrà costretto ad agire diversamente per raggiungere il totale di quanto gli spetta.

Un’altra limitazione al pignoramento del conto si riferisce al caso in cui vi sia l’accredito dello stipendio o della pensione, in quanto, a riguardo, la legge disciplina la materia con due ordini di limiti di pignorabilità, molto precisi e tassativi:

  • Le somme già depositate al momento dell’avvio della procedura sono pignorabili solo per la parte che eccede il triplo dell’assegno sociale (che, a oggi, ammonta a € 448,07), vale a dire € 1.344,21.
  • Gli ulteriori emolumenti, possono essere pignorati sino a massimo di 1/5 anche se, in caso il creditore fosse l’Agenzia delle Entrate, il limite scende a 1/10 se lo stipendio (o pensione) è inferiore a 2.500 euro; 1/7 se fra € 2.501 e € 5.000 euro, oltre i quali si ritorna al limite di 1/5.

Per poter usufruire di tali agevolazioni, è fondamentale che sul conto con accredito stipendio o pensione, non confluiscano anche altri redditi e, pertanto, chi, per esempio, svolge una seconda attività, potrà prevedere di accendere un diverso conto corrente, al fine di non perdere quello che, di fatto, nei casi estremi di un’esecuzione forzata, si rivela un trattamento di favore.

Infine, l’ultima limitazione riguarda il conto che vede il deposito del Tfr: in sostanza, segue le stesse regole degli accrediti illustrati precedentemente, per cui se il pignoramento è avvenuto prima di tale possesso di somma, il Tfr sarà prelevabile fino a un quinto mentre, al contrario, il blocco riguarderà l’eccedenza dei 1.344,21 €.

Procedura di pignoramento da parte di un privato

In questo caso, come abbiamo visto, il creditore sarà in possesso di un titolo esecutivo che, nel frattempo, dovrà essere stato notificato al debitore, tramite la consegna del cosiddetto atto di precetto mediante ufficiale giudiziario, una sorta di ultimatum di pagamento, intimato entro ulteriori e ultimi 10 giorni. Se non viene ottemperato, l’atto ha comunque un’efficacia di 90 giorni, scaduti i quali va nuovamente notificato se si vuole effettivamente procedere col pignoramento.

Il creditore può quindi procedere alla notifica dell’atto di pignoramento vero e proprio, mediante comunicazione in duplice copia, una per la banca e l’altra per il debitore. All’istituto di credito, in questo modo, viene intimato di non consentire più al titolare dii quel conto corrente di prelevare o utilizzare le somme pignorate, di fatto “bloccando” quella specifica somma di denaro, lasciando invece libere, nel caso ce ne fossero, le somme eccedenti il debito. In tutti i casi, il creditore, previsto dalla legge, può pignorare un importo pari al proprio credito aumentato della metà, al fine di consentirgli anche il pagamento delle spese procedurali, comprensive degli interessi.

L’atto di pignoramento contiene anche la data e l’ora dell’udienza a cui il debitore è invitato a presentarsi, durante la quale il giudice assegna al creditore la somma pignorata, a meno che il debitore, a mezzo avvocato, si opponga attivando a sua volta una causa per contestare o il diritto del creditore (opposizione all’esecuzione) o la regolarità formale della procedura (opposizione agli atti esecutivi). Tra la data della notifica e l’udienza può passare un lasso di tempo notevole, durante il quale il conto resta continuamente pignorato.

In caso, però quest’ultimo fosse “in rosso” o “a zero” e, dunque, lasciasse insoddisfatto il creditore, il giudice lascerebbe libero il debitore di utilizzarlo, dando facoltà al creditore di intraprendere diverse forme di pignoramento, oppure di ripetere lo stesso atto non appena quel conto tornasse attivo.

Procedura di pignoramento da parte dell’Agenzia Entrate Riscossione

In questa diversa opzione, l’Agenzia è tenuta a inviare al debitore, in sostituzione del titolo di precetto, la cartella di pagamento, con la quale gli viene intimato il pagamento entro 60 giorni, oltre all’atto di pignoramento, inviato sempre contestualmente anche alla banca. Quest’ultimo, diventa un’intimidazione per l’istituto di credito a versare le somme direttamente all’Ufficio Riscossione, senza nessuna udienza del tribunale, solo se, trascorsi i due mesi, il debitore non abbia ottemperato a saldare quanto dovuto.

Per scongiurare il pignoramento del proprio conto corrente, il debitore può richiedere una rateazione: sarà sufficiente il versamento della prima rata per lo sblocco automatico del conto da parte della banca.

Come si sblocca un conto corrente pignorato?

Come abbiamo visto, se il conto corrente è bloccato dall’Agenzia delle Entrate, lo sblocco può avvenire attraverso la richiesta di rateazione. Se, invece, a pignorarlo è un privato, per liberarlo è necessario un ordine del giudice, a seguito di un’opposizione all’esecuzione che avrà ritenuto fondata, o, unica alternativa, la rinuncia della procedura da parte del creditore a mezzo dichiarazione presentata in tribunale.

Infine, in caso di decesso del debitore, il pignoramento non termina, ma passa direttamente e senza soluzione di continuità agli eredi che, a loro volta, diventano destinatari dell’esecuzione forzata.

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